IT EN

SECONDO LIVELLO: RUOLO/PERFORMANCE

Messa a punto l’organizzazione in termini di persona giusta al posto giusto, il capo non ha finito il suo compito. Potremmo dire, anzi, che è questo il momento in cui la sua azione inizia a dare i suoi frutti, che iniziano ad essere visibili e quantificabili. Messo a punto lo strumento di lavoro (l’organizzazione), è ora il momento di farlo lavorare a pieno regime, sfruttandone al massimo le capacità. Per fare questo, è necessario partire dal ruolo delineato nel dettaglio e condiviso con il collaboratore. E lì rimanere, utilizzando alcuni strumenti imprescindibili di controllo/valutazione. 

Il secondo livello del metodo Noss è centrato sui concetti di carta di identità del ruolo e di feedback. In  un'organizzazione sana, il capo dà riscontri costanti ai propri collaboratori. Da questo costante dialogo sulla performance - basato sulla carta di identità del ruolo - derivano organizzazioni sane, prospere e funzionanti. Solo così, poi, si evita la palude in cui troppe organizzazioni inghiottono ogni tipo di performance.

Per chi vuole entrare nel dettaglio:

Gli strumenti di controllo/valutazione messi a punto dal metodo Noss si riassumono nel modello PARRMI: 

P(articolare)

A(ffiancamento)

R(iunione)

R(iscontro)

M(otivazione)

I(ntuizione)

 

Particolare

Gino attendeva con ansia, da mesi, la conferma della sua qualifica di Quadro. Aveva lavorato per anni avendo come obbiettivo quel passaggio di livello che, adesso, gli spettava per il ruolo che ricopriva. Ed infatti, finalmente, aveva avuto conferma da una delle segretarie di direzione dell’avvenuta ufficializzazione: era solo questione di tempo, bastava lasciare che la lettera arrivasse alla sede e che il suo capo glie la consegnasse. “Chissà che bel momento…”, pensava il giovane. Per giorni tenne l’orecchio teso verso l’ufficio del suo capo, in attesa di essere chiamato. Finché un pomeriggio – rientrando dalla pausa pranzo, dopo avere invano salutato con aria interrogativa il capo, che sedeva nel suo ufficio incollato al computer - trovò sul suo tavolo una busta chiusa. La aprì e vide che si trattava della comunicazione tanto attesa. Ne fu felice, ma una sensazione di incompiutezza e di smarrimento si impadronì di lui per tutto il giorno.

Possiamo capire lo smarrimento di Gino. L’attenzione per il particolare, disatteso dal suo capo in modo così plateale, è fondamentale per il lavoro manageriale. Gestire senza attenzione al particolare è uno dei peggiori modi in cui si possano gestire le persone.

I momenti in cui l’attenzione al particolare è decisiva sono veramente infiniti: si va dalla comunicazione di qualcosa (fatta in un modo o in un altro) alla precisione dell’arredamento dell’ufficio, dalla percezione di stati d’animo (empatia) all’attenzione per la vita familiare del collaboratore.

Era un aprile piovoso. Il capo di allora aveva assegnato al giovane Aurelio l’auto di un collega dimessosi da poco e lo aveva mandato, per le questioni pratiche, all’ufficio risorse umane. Il ragazzo, spaesato, girò un po’ gli uffici della grande sede centrale prima di trovare quello giusto. “Buongiorno, entri pure – gli disse il manager addetto al parco auto, con fare sbrigativo – la macchina è parcheggiata qui davanti ma è in divieto di sosta…la sposti subito…queste sono le chiavi ed il libretto…arrivederci…”. L’entusiasmo di Aurelio si raffreddò un po’ prendendo in mano una busta sporca e “usata” che conteneva un paio di chiavi e delle carte, anch’esse sgualcite. Comunque baldanzoso, attraversò la strada sotto la pioggia, aprì l’auto e ne vide l’interno: era sporca, con carte ovunque e due bottiglie di acqua mezzo vuote che troneggiavano nei sedili. Rimase qualche minuto fermo ed immobile sotto la pioggia, prima di entrarvi.

Ci sono tanti modi di fare le cose, anche e soprattutto le cose giuste. Crediamo che il manager si debba sforzare, quotidianamente, per fare con attenzione ai particolari quello che, senza pensarci, farebbe in altro modo. Questo, non per amore del perfezionismo o per filantropia. Semplicemente perché, così facendo, i risultati che egli otterrà dai suoi collaboratori saranno estremamente migliori. L’attenzione al particolare è uno dei migliori strumenti di miglioramento della performance che esistano.

Elisabetta non vedeva né sentiva Antonio da almeno tre settimane. Non aveva avuto niente da chiedergli, quindi non lo aveva chiamato. Da parte sua, il giovane si era deciso a non chiamare più il capo per verificare quanto sarebbe durato – così – il periodo di non-comunicazione. Il Natale si avvicinava velocemente ed i giorni passavano senza che il telefono squillasse. “Io aspetto, se proprio non si fa viva, la chiamerò per gli auguri….almeno quelli…” – pensava Antonio giorno dopo giorno. Si arrivò così all’antivigilia di Natale, ultimo giorno lavorativo prima delle vacanze. Antonio, entrando in ufficio, pensò sconsolato: “…oggi mi tocca chiamarla…”. Sennonché, acceso il pc e scaricata la posta, trovò un’e-mail di Elisabetta , che gli augurava buon Natale di cuore. Il ragazzo restò muto e riflessivo qualche secondo. Poi, deciso, rispose sentitamente, via mail, agli auguri del suo capo.

 

Affiancamento

Il capo deve passare del tempo con il collaboratore sul suo (del collaboratore) campo d’azione. Solo così, egli riesce a rendersi conto di come il dipendente lavora veramente, dei suoi punti di forza e dei suoi punti di debolezza. Solo così, il manager esce dalla sua turris eburnea e mantiene vivo il contatto con il mondo circostante. Non si può guidare un gruppo dal proprio ufficio. Spesso questo non viene fatto perché il manager – soprattutto quando raggiunge posizioni gerarchicamente elevate – tende a non volere mettersi in discussione e a considerare come rendita di posizione la possibilità di passare ore ed ore della sua vita nel suo ufficio, in impegni solo relativamente produttivi.

Va notato che, durante l’affiancamento, il manager non deve in alcun modo sostituirsi al collaboratore: quest’ultimo deve potere svolgere il suo lavoro come se fosse solo; il compito del capo è osservare e rendersi conto di quello che succede, nient’altro.

 

Riunione

Il tema delle riunioni è tra i più controversi ed interessanti. Servono o non servono? Quante ne vanno fatte? Diciamo chiaramente che le riunioni sono necessarie e non se ne può fare a meno. Non ne servono troppe, ché sarebbe un segno di blocco dell’organizzazione, ma senza riunioni le persone lavorano in modo scollegato e genericamente meno produttivo e meno teso all’obbiettivo comune.

È naturalmetne importante seguire alcune norme nella conduzione delle riunioni:

  • chiarite chi ne è il direttore:. chi la convoca, per quali motivi e con che obbiettivo.
  • esplicititatene i tempi: inizio e fine prevista.
  • non crediamo sia opportuno stenderne un verbale: le persone hanno bisogno di essere stimolate a ricordare ed annotare personalmente quello che di importante viene detto nella riunione. Con il verbale, invece, si demanda ad altri quello che deve essere fatto da sé: è come comperare un libro già sottolineato.

 

Riscontro. La carta di identità del ruolo

Un capo che non dà feedback non è un capo. L’azione dell’organizzazione vive di riscontri costanti che il capo è tenuto a dare al suo collaboratore. Solo così l’impresa va avanti e ognuno è chiamato ad assumersi la responsabilità di quello che fa: il capo, le sue responsabilità di capo, il collaboratore, le sue responsabilità di lavoro.

Come si dà un riscontro? Innanzitutto, diciamo che un buon capo condividerà con il suo collaboratore una serie di punti caratterizzanti il ruolo, che chiameremo carta di identità del ruolo. Per esempio, per un Area manager non si può prescindere da gestione di clienti, capacità di chiusura, gestione collaboratori, capacità di analisi dei dati, propensione al mercato ecc. Sono gli assi portanti del lavoro, quello che la persona che occupa il posto deve essere in grado di fare quotidianamente, e devono essere ben chiare sia al collaboratore, sia al capo. Queste, condivise ed annotate, sono una vera e propria carta d’identità professionale del collaboratore e devono accompagnarlo in tutta la sua vita lavorativa in quella posizione.

Avendo in tasca la carta d’identità del ruolo, il capo ed il collaboratore devono utilizzarla in almeno tre momenti:

  • la valutazione periodica della performance: è opportuno che, con cadenza al massimo semestrale, il capo ed il collaboratore si incontrino per una mezz’ora circa, seduti uno di fronte all’altro in un ufficio, e aggiornino la carta di identità del ruolo. Per ogni singola abilità il capo dovrà annotare e condividere i progressi e le aree di miglioramento del collaboratore, sottolineando situazioni in cui egli è stato – nel semestre precedente – particolarmente brillante e aspetti che devono essere ancora migliorati. Così facendo, il profilo professionale del collaboratore rimane sempre aggiornato e si crea un filo conduttore tra capo e dipendente che – di mese in mese – si aggiorna e rimane vivo.

In particolare, vanno sottolineati i progressi in determinati ambiti (“Come sappiamo, eri lacunoso nella gestione dei grossi clienti, ma ho visto che con il cliente Tizio, la settimana scorsa, hai brillantemente condotto la trattativa portandolo a pranzo fuori. Bravo”) e non taciuti i punti negativi che permangono (“Sulla gestione dei numeri devi ancora lavorare. Ho notato che, a inizio mese, il report che mi hai fatto sul progetto Beta non era corredato da una buona analisi sui dati di vendita”). Alla fine di ogni valutazione periodica, il collaboratore dovrà avere ben chiaro come il suo lavoro viene percepito, in quel momento, in azienda: sto andando bene, sto andando male.

  • la valutazione annuale della performance. Pratica diffusa in molte aziende, è di solito collegata all’erogazione degli MBO e viene effettuata ad inizio del nuovo anno. La pratica è sana: è importante che ad inizio anno o, meglio, alla fine dell’anno, manager e dipendente rivivano l’anno passato dal punto di vista del lavoro del collaboratore, in un’ora circa seduti uno di fronte all’altro nell’ufficio del capo. E’ charo che – avendo condiviso almeno un aggiornamento periodico della carta di identità del ruolo – il capo ed il collaboratore arrivano alla valutazione annuale sapendo già nel dettaglio di che anno si è trattato, dal punto di vista del ruolo del collaboratore. Questa sarà, quindi, l’occasione per tiarare le somme di un anno e definire, in modo analitico, i patti d’azione per l’anno seguente: quali sono le abilità in cui il collaboratore può essere portato ad esempio al gruppo, quali sono le aree di miglioramento dove – nell’anno seguente – non si potrà più fallire. La visione deve essere alta e guidare il collaboratore su binari di prospettiva ben chiari. Nella carta di identità del ruolo si tira una linea: qualcosa si è chiuso con il suo bilancio, qualcosa sta per iniziare su binari che sono stati delineati.
  • la valutazione informale della performance: al di là dei momenti “ufficiali” di confronto, è opportuno che il capo trovi l’occasione senza limiti di tempo, indicazione di luogo o di periodicità stabiliti – per dare veloci feedback al collaboratore. Di solito, questo va fatto immediatamente dopo successi o fallimenti, ma ogni occasione – in realtà – è buona, purché ci sia qualcosa di concreto da dire. Al bar, brindando al successo, o uscendo dall’incontro con il cliente conclusosi male, è bene che il capo dica qualche frase di commento sulla performance del dipendente. Le frasi devono essere fredde: dettate, chiaramente, da entusiasmo o da delusione, ma staccate dal contesto specifico; ricollegando, così, per pochi secondi, le sensazioni del momento (la gioia per il contratto firmato, la delusione per l’incontro andato male) all’attività generale del collaboratore (“sei stato bravo perché hai agito velocemente, anticipando le mosse della concorrenza. Bene, avanti così!”; “In questa circostanza non hai dato il meglio di te: non hai capito che insistendo con quel cliente avresti perso di vista l’altra opportunità con questo cliente. La tua azione, in questo, va ripensata” ).

Motivazione

Gino è il Direttore di stabilimento di un’azienda multinazionale di catering. Ogni giorno, il suo gruppo produce i pasti per più di mille persone. Il suo è un lavoro molto bello e difficile: gestione delle persone (trecento), rapporto con un cliente esigente, necessità di far quadrare i conti ogni mese. L’attività quotidiana è fatta di frenetiche telefonate, incontri veloci, analisi, stesura di report, gestione delle emergenze (sempre numerose). C’è la concreta possibilità di perdere la bussola e di vivere correndo dietro al problema più impellente. Ma Gino ricorda che – tanti anni prima – in un incontro con l’Amministratore della società nell’occasione di un corso di formazione per Quadri, questi aveva riassunto, in poche battute, il senso del lavoro del Direttore di stabilimento: “ricordatevi che voi siete i guardiani dei costi. In un settore con i ricavi sostanzialmente bloccati, il vostro ruolo è tenere sotto controllo i costi”). Quella frase, secca e tagliente, accompagnava da anni tutte le giornate di Gino, costituendo per lui la luce in fondo al tunnel del suo difficile e frenetico lavoro quotidiano.

L’uomo, per natura, tende a disperdersi. In ognuno di noi c’è la tendenza a fare tante cose in modo spesso caotico. Quando poi, come nel caso di Gino, anche l’attività lavorativa porta, per i suoi contenuti, ad una dispersione dell’azione, il rischio di perdere la bussola è davvero alto. Uno dei compiti del manager è quello di aumentare la capacità di concentrazione del collaboratore: concentrazione significa, in questo caso, capacità di fare emergere costantemente il senso finale dall’insieme delle cose che inevitabilmente ci si trova a fare quotidianamente. E’ la risposta, in sintesi, alla domanda “perché siamo qui?”.

È la motivazione che deve spingere quotidianamente ognuno ad alzarsi, la mattina, ed andare a lavorare essendo consapevole di contribuire, in quel modo, al bene dell’azienda, del Paese, del mondo. Non è facile, ma è necessario che il capo cerchi di trasmettere all’azione dei collaboratori il senso forte di una missione. E questo, sia chiaro, vale per ogni tipo di mansione, dalle più umili alle più elevate.

Intuizione

Augusto, Direttore commerciale di un’azienda familiare, deve scegliere un Are manager per il suo ufficio. Ha visto tanti candidati che non lo hanno totalmente convinto. Una domenica mattina, nella sauna della sua palestra, in un momento di completo rilassamento, Augusto ripensa ad un neolaureato che, una decina d’anni prima, aveva conosciuto in un’altra azienda. Il ragazzo faceva molto ben sperare. “Ma che fine avrà fatto e perché mi viene in mente proprio oggi?”. Il lunedì, in ufficio, con una veloce ricerca su linkedin, Augusto rintraccia il neolaureato di un tempo (scoprendolo Area manager), lo contatta e in breve tempo lo arruola come Area manager nella sua azienda. Paolo, questo era il suo nome, si rivelerà un acquisto prezioso.

Inutile nagarlo, l’intuizione, anche per il lavoro manageriale, è importante. Essa è definibile come quell’insieme di fiuto, intuito, sensazioni che fanno prendere delle decisioni, anche senza o al di là di numeri, relazioni o riflessioni razionali.

Quello che non va fatto è confondere l’intuizione – necessaria e positiva – con il pregiudizio e l’effetto Alone, entrambi negativi compagni di viaggio. Il pregiudizio (l’avere delle idee fissate e non correggibili su persone, situazioni, dinamiche) e l’effetto Alone (cercare costantemente conferme su un’opinione che ci si è fatti) sono due facce della stessa medaglia e non sono, di per sé, negativi: fanno talmente parte dell’uomo che non possiamo evitarli. Diventano negativi quando non si riesce ad avere – da essi – un certo distacco e se ne diventa schiavi. Le conseguenze per l´organizzazione sono, in questo, caso, spesso nefaste.

Anche nella gestione dell´organizzazione e nella valutazione della performance (l´ambito di cui si occupa il secondo livello del metodo Noss) le trappole sono sempre in agguato. E’ opportuno individuarne qualcuna. Attenzione: spesso i tipi di trappola sono molto simili e ci riportano a modelli già visti, ma le sfumature, in questo caso, contano ed è bene sottolinearle.

 

La trappola degli amici e dei nemici

Il nostro protagonista è sempre Roberto, l’Area manager alimentare di cui abbiamo analizzato il lavoro da più punti di vista. Come lavora Roberto? In particolare, come valuta la performance dei quattro venditori che coordina? Essendo debole nel ruolo (lo abbiamo visto), la sua tendenza è duplice: da un lato, ha un forte pregiudizio negativo nei confronti di chi è più vecchio di lui o, comunque, potrebbe saperne più di lui; dall’altro, classifica come nemico chiunque discuta o non accetti in silenzio ogni suo ordine/suggerimento.

Questo porta ad una gestione che dà per scontato, giorno dopo giorno, che Tizio, l’amico, sia bravo (e si cercano, trovandole, conferme di questo fatto) e che Sempronio, il nemico, sia pessimo (e si cercano, trovandole, conferme anche di questo fatto). Roberto fa riunioni (perché costretto), affianca, forse dà anche riscontri ma è tutto falso. Il dèmone che lo muove è il manicheismo iniziale. Così il disastro, per l’organizzazione, è assicurato: Tizio farà sì e no quello che gli riesce, Sempronio vegeterà in attesa di un’inevitabile uscita.

 

La trappola del distacco

Alfonso è un venditore professionista. E’ entrato nella nuova azienda ma non ha certo bisogno di qualcuno che gli insegni a lavorare. Daniele, il Direttore vendite, d’altra parte, lo ha assunto e poi non si è più fatto vivo. Lavorano lontani, è vero, ma le due telefonate che – in questo primo mese di lavoro – Alfonso ha fatto a Daniele sono state sempre chiuse da quest’ultimo con un “scusa devo andare…” molto poco promettente. Alfonso, smanioso di fare bene ed in vista di una riunione prevista per la settimana successiva, decide di scrivere una mail al suo capo: in essa prospetta la sua azione nell’area assegnata, si dà obbiettivi e delinea il suo modo di lavorare. Le conclusioni, poi, offrono lo spunto per una attenta pianificazione dell’attività di tutto il gruppo di vendita. Spedita la mail, rimane in attesa di reazioni, che – nonostante tutto – si aspetta entusiaste. Le ore ed i giorni passano senza che Daniele si faccia vivo.

Nella riunione della settimana successiva, Alfonso finalmente incontra il suo capo. Dopo i saluti di rito, notato che Daniele in qualche modo lo evita, Alfonso entra in argomento: “…hai visto la mia mail dell’altro giorno, cosa ne pensi?”. “L’ho vista – risponde Daniele con aria grave – e ti devo subito tirare le orecchie…”. Alfonso ascolta in silenzio. “…quelle cose tu non devi scriverle a me, devi farle…”.

Questo e´ un esempio di trappola del distacco. Daniele è in altre faccende affaccendato, non si cura del suo uomo che lavora lontano. “E’ un professionista – pensa – se la deve cavare da solo”. Niente di più sbagliato: tutti, dai giovani al primo lavoro al vecchio esperto, abbiamo bisogno di qualcuno che ci guidi. Alfonso, di fatto, dopo l’incontro con Daniele, renderà la metà di quello che potrebbe rendere con un capo capace e vicino.

 

La trappola del proclama

Elisabetta – da un po’ di tempo – non era contenta del lavoro di Antonio. Certo, lo vedeva attivo e sapeva che l’impegno del suo collaboratore era alto. Ma i rusultati, quei maledetti risultati su cui dobbiamo misurare le persone, faticavano ad arrivare. O, meglio, arrivavano ma non nella misura in cui lei si aspettava. Di questo suo malessere, non aveva mai parlato ad Antonio. Ma, nell’occasione dell’elaborazione del budget per l’anno successivo, Elisabetta si decise a parlare – a modo suo – al suo collaboratore: alzò il budget proposto da Antonio del 40% e reagì con un “Fate come volete, ma lì dobbiamo arrivare” allo stupore che il suo collaboratore le manifestò immediatamente.

La trappola del proclama, spesso, si confonde con quella del distacco, ma è giusto evidenziarla perché in realtà ha una sua individualità ed è molto diffusa. Consiste in un modo di gestire le persone che ha in comune con la trappola del distacco la lontananza dal collaboratore, ma che aggiunge – a quest’ultima – l’imposizione di un obbiettivo irraggiungibile – non condiviso, non spiegato, non frutto di un’elaborazione, ma semplicemente calato dall’alto - da parte del manager. Questo crea un vero e proprio abisso tra due persone che – invece – dovrebbero vivere quotidianamente sulla stessa barca. E la performance dell’azienda ne risente pesantemente.

La trappola della miopia

Tra i collaboratori di Eligio, Beatrice era l’utima arrivata. Lavorava con lui da poco più di due anni, ma aveva già introdotto, nel suo gruppo, parecchie rivoluzioni. In particolare, era molto brava con le persone, coinvolgeva tutti con successo, mirava decisa agli obbiettivi. Eligio stesso, di solito parco di complimenti (“la gente va spronata senza complimenti”, diceva spesso), le aveva, in almeno un paio di occasioni, fatto i complimenti per i risultati ottenuti. Certo, aveva un bel carattere e non voleve a tutti i costi dare ragione al capo. La congiuntura economica non era delle migliori, quindi anche il gruppo di Beatrice – come gli altri – del resto – faticava a far crescere i profitti. Ma tutto, veramente, girava molto bene.

Deciso a creare un livello intermedio tra la sua posizione e quella della sua collaboratrice, Eligio valutò varie possibilità, ma alla fine optò per un esterno (che fallì, come il suo successore). Nel frattempo Beatrice lasciò l’azienda e fece una brillante carriera in altre società.

È una storia molto comune in azienda. Quanti talenti si perdono, non vengono sfruttati adeguatamente perché il capo, semplicemente, non vede il potenziale del proprio collaboratore? Quante energie potrebbero essere riallocate in modo più produttivo (ognuno fa quello che riesce a fare meglio degli altri) se solo i manager fossero più attenti al potenziale dei collaboratori che – oggi – fanno qualcosa, ma che potrebbero fare, domani, altro e che lo faranno, se non qui, in altre aziende? Perché, alla fine, chi vale qualcosa comunque si fa strada, magari con più fatica e con qualche deviazione. Il compito del buon dirigente è proprio quello di individuare chi oggi fa qualcosa ma domani potrebbe fare altro e farglielo fare. Non per benevolenza, ma per interesse della società.

La trappola del fare

Sembra paradossale, ma anche la voglia di fare a tutti i costi può – a volte – diventare una trappola. È una situazione molto diffusa e va combattuta decisamente perché porta ad un pesante impoverimento dell’azione del gruppo.

Luca è il direttore commerciale di una piccola impresa che lavora tanto con l’estero. Tra i suoi collaboratori, Nicola segue l’export europeo. Ad una fiera, cui Nicola doveva partecipare dal giorno successivo, il principale importatore inglese si reca allo stand della società ed incontra Luca. Questi si trattiene con lui tre ore: pianifica le azioni successive, dà valutazioni, fissa obbiettivi per l’esercizio successivo. La sera, Luca chiama Nicola e gli dice – soddisfatto – di avere messo le basi per un anno di successi con il cliente inglese.

Come credete che prenda la cosa Nicola? Se è un professionista serio si arrabbierà moltissimo e – da quel momento – lavorerà con l’Inghilterra molto meno bene di come avrebbe potuto fare. In qesto caso, il punto è molto semplice: ognuno deve fare il suo lavoro, non quello di altri. Nel caso specifico, il lavoro di seguire il cliente       entrando nel dettaglio del rapporto e del suo fututo sviluppo è un lavoro dell’Export manager, non del Direttore commerciale. Questi avrebbe dovuto ricevere il cliente, naturalmente, intrattenendolo solo su aspetti generali del rapporto e rimandando il resto ad un incontro con il suo collaboratore. Se il capo ha dubbi sul suo collaboratore dovrà evidenziarli nella carta di identità del ruolo, fino ad arrivare a rimuovere il collaboratore, ma mai sostituirsi a lui nel lavoro.

Il secondo livello del metodo Noss è centrato sul funzionamento della struttura organizzativa e permette alle organizzazioni di uscire dalle sabbie mobili in cui spesso, involontariamente, avvolgono le performance dei propri collaboratori.

Inserito il:05/03/2019 12:12:01
Ultimo Aggiornamento:16/06/2019 19:37:36
Condividi


 

C.F. BTTGCR67S69G224O

Questo sito usa solo cookie tecnici per questo non ti chiede di esprimere nessun consenso Informazioni e Policy Privacy

yost.technology | 04451716445